Come salvare una tradizione. Diario di bordo sul laboratorio di “Save the last dance for me”
La curiosità di conoscere e apprendere un ballo liscio filuzziano, danza tipica della mia tradizione ma della quale non ho mai imparato le movenze, mi ha portato a iscrivermi al workshop di polka chinata tenuto da Giovanfrancesco Giannini e Gianmaria Borzillo, i performer di Save the last dance for me di Alessandro Sciarroni. Attraverso i “passettini” abbiamo conosciuto, domato e fatto nostro il ritmo incalzante dei portici di Bologna. Abbiamo corteggiato e siamo stati corteggiati dalle note di questa danza ipnotica che crea uno stato di estasi, dove la realtà circostante scompare totalmente e l’attenzione viene calamitata dall’unione dei corpi che si crea con chi stai danzando.
In tre ore di lezione siamo riusciti non solo a imparare una danza tradizionale, ma anche a confrontarci con un modo di vivere e con il pensiero di un passato forse non così lontano, che ci porta a riflettere su quale ruolo abbia oggi la danza nella società contemporanea e quale giudizio ha l’occhio moderno nel vedere due uomini ballare insieme. Per tradizione questa danza veniva ballata da due uomini, poiché era vietato alle donne non sposate ballare in coppia, e quindi gli uomini nubili si destreggiavano in questa danza dando vezzo delle loro capacità corporee e mostrando alle donne di essere degli uomini valorosi, dando vita a una vera e propria danza di corteggiamento.
Vedere oggi due uomini ballare insieme è una cosa straordinaria, che tuttavia genera per alcuni qualche perplessità: Giannini e Borzillo ci hanno raccontato come a volte vengano fischiati quando si esibiscono nelle piazze, ma non appena lo spettatore comprende che ciò che sta vedendo è una danza tradizionale, questo occhio giudicante viene meno.
Oggi la polka chinata può essere ballata da tutti, non più solo uomini, forse per permettere a più persone di apprendere e trasmettere questa danza e anche perché rispetto al passato alcuni dogmi sulla danza sono stati sorpassati. Ho partecipato a questo evento assieme al mio compagno, completamente digiuno di tecniche coreografiche, ed è stato molto interessante vedere come si è messo in gioco: “Tenendoti per mano ho ascoltato il tuo corpo, rendendomi compatibile con i tuoi movimenti e viceversa, una performance da fare in due che unisce”, mi ha detto. “La fisarmonica romagnola rimbomba nella sala e ti porta indietro nel tempo, facendoti vivere un viaggio in prima persona, dove per un tratto la lucidità dei portici di Bologna ricorda i riflessi di luce nel mare: chiudendo gli occhi per un secondo sono a ballare per strada e li riapro e sono a ballare in una balera romagnola”.
I danzatori sono stati molto generosi nel trasmetterci l’amore per questa danza tradizionale e nel suggerirci di non avere giudizio nei confronti del nostro corpo e del gesto imperfetto che potevamo compiere, ma semplicemente di lasciarci andare al divertimento creando un senso di unione e di comunità.
Il workshop non è fine a se stesso, bensì desidera provare a trasmettere questa tradizione per non farla morire: infatti una volta finito il workshop io e Davide abbiamo incontrato i nostri amici, ai quali abbiamo mostrato immediatamente quello che avevamo imparato nel pomeriggio provando a nostra volta a insegnare questo ballo. Esco quindi da questa esperienza con la sicurezza che questa estate potrò sentirmi a mio agio anche a ballare il liscio nelle sagre di paese.
Beatrice Bertesi
Questo articolo è frutto del laboratorio di educazione allo sguardo applicato alla danza, a cura di Altre Velocità